– STORIE D’ARCHIVIO –

Le lampade di Gianfranco Frattini parlavano di futuro

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Andrea Calatroni

Prosegue il racconto del lavoro di Gianfranco Frattini, designer sobrio ed elegante che, con i suoi prodotti, ha saputo interpretare al meglio le aspettative e le esigenze del boom economico degli anni ‘70. In chiusura il ricordo di Fabio Calvi, assistente di Frattini e disegnatore della House per FontanaArte.

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Di Aspide (Leuka, 1970) ho un ricordo lontano, la vidi a casa di amici, la cui abitazione era stata arredata da un Architetto (la A suonava sempre maiuscola) cosa non molto consueta nella Brianza anni Settanta. Era in camera da letto della padrona di casa e da bambino, abituato al marrone di quegli anni, la sentivo come estranea al mio mondo color cioccolato. Solo crescendo e studiando design ne compresi il valore estetico e il tour de force tecnologico. Aspide è di una semplicità disarmante, un tubo d’acciaio curvato e tagliato ad hoc per inserire la sorgente nella testa girevole per portare la luce solo dove serve. Un oggetto luminoso che, come vedremo, è una parte portante nella narrazione abitativa di Frattini.

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Sempre per Leuka (poi Tronconi) in quegli anni Frattini disegna Lucilla e Gecko. Due oggetti esteticamente agli antipodi, la prima sinuosa e sensuale come il suo nome, la seconda con forti richiami space age tipici del periodo. Lucilla è un sinusoide parabolico, forma cara a Frattini, con due sorgenti luminose, una interna per una luce ambientale diffusa, la seconda argentata esterna posta superiormente e per una luce d’accento a parete. Una grande scultura luminosa in tessuto stretch bianco, leggera ma presente. 

Gecko è una versione minimale di Aspide, la sorgente compresa nel tubo sagomato può ruotare entro una basetta scavata che permette la massima libertà di movimento, di rotazione e inclinazione, in ogni direzione e grado grazie all’attacco magnetico semisferico. E come l’animaletto, una volta posizionata resta in attesa, vigile, dei prossimi spostamenti. Una lampada ironica, adattabile ad ogni ambientazione dal moderno al pretenzioso barocchetto. Gecko, col suo metallo cromato, riflette prima di parlare.

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Daniele (Lucitalia, 1979) e Megaron (Artemide, 1979) nascono dalla volontà di disegnare lampade che si adattassero alle nuove sorgenti alogene lineari con attacchi R7S, come appare evidente dagli appunti sullo schizzo. Daniele è una applique in metallo bianco che si sviluppa come una grande L rovesciata, per un’illuminazione indiretta dello spazio abitato. L’intuizione estetica è quella di un tubolare semicilindrico tagliato e piegato, idea resa innovativa dall’uso del metallo combinato con un materiale sintetico per i dettagli. Daniele ha un sapore di innovazione e di futuro prossimo, complici anche le prime serie televisive sci-fi americane come l’indimenticato Spazio 1999

Idealmente lo stesso procedimento estetico-filosofico da cui nacque Megaron, attualmente ancora in produzione solo aggiornato tecnologicamente. Negli appunti che completano lo schizzo sono presenti indicazioni importanti sia a livello costruttivo che tecnico. Megaron è, nella sua essenza, minimale ma mantiene un’anima altoborghese evidente nella scelta delle finiture, studiate per abbinarsi ai raffinati interni di Frattini, sono colori capaci di dialogare con le essenze e i pellami degli imbottiti. Dal puro bianco e nero al mattone simile al cuoio, al recente alluminio specchiante.

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House (FontanaArte, 2000) è l’ultima lampada di questa lunghissima carrellata iniziata a maggio (https://www.makingoflight.it/making-of-lighting/le-prime-luci-di-gianfranco-frattini/ ) e che si concluderà nel terzo capitolo sugli Interni di Frattini. La struttura è realizzata con sottilissimo tubulare in alluminio zero chimico e in metacrilato opalino per la piramide del diffusore. House, come dice il nome, è l’archetipo dell’abitazione singola, quella che ogni bambino schizza accanto a sé nei propri disegni. Questa sua ancestralità ne fa un oggetto d’affezione facilmente riconoscibile e piacevole. 

Su questa lampada e su Frattini abbiamo chiesto a Fabio Calvi (Calvi Brambilla) qualche riga di omaggio.

Ho avuto la fortuna di collaborare con Frattini dal febbraio 1997 ad aprile 1998. La lampada è stata disegnata in quell’anno. Era il mio primo lavoro e Frattini mi aveva preso con sé, unico assistente, offrendomi un milione al mese dicendomi che non aveva lavoro. Non stava certo con le mani in mano e il lavoro se lo inventava. Ricordo che in quell’anno disegnammo un bottiglia per l’olio, una sedia da ufficio e la lampada che venne poi presentata ad EuroLuce 2000 per FontanaArte con il nome di “House”.

Tutto era disegnato a mano, sul tecnigrafo in scala 1:1 e ricordo la frustrazione di lavorare sullo stesso lucido, che quasi si consumava sotto l’effetto delle continue cancellature! Gianfranco lavorava schizzando a mano nel suo studio, trovando soluzioni tecniche che poi io dovevo ridisegnare in scala ma spesso il risultato finale non lo convinceva e si tornava all’inizio. Era un processo lento e delicato quello di trovare soluzioni tecniche che fossero contenute in un oggetto con una proporzione finale che lo soddisfacesse.

Gianfranco, accanito fumatore, si era dato la regola di una sigaretta all’ora. Non pranzava, ma dalle 13 alle 14 si ritirava nella stanza relax del suo bellissimo studio in via Sant’Agnese 14 a vedere il telegiornale. Un bellissimo ricordo erano gli aperitivi di fine giornata. Nel tardo pomeriggio mi aspettava un treno che mi avrebbe riportato a Pavia, ma qualche volta riusciva a convincermi a fargli compagnia e uscivamo con la sua amatissima Lancia Delta Integrale per raggiungere Bob Noorda al Bar S. Carlo, in corso Magenta, per condividere il famoso “Camparino”.

(Immagini courtesy: Archivio Gianfranco Frattini)