– INTERVISTE COL FOTOGRAFO –

Sono fotografo e architetto

Making of Light prosegue le interviste ai fotografi con Matteo Cirenei, architetto che racconta l’architettura cercando una forte dinamicità e tagli inaspettati. La luce è uno strumento di creazione emozionale

Sei fotografo e architetto o viceversa?
Sono fotografo e architetto. Mi sono laureato in Architettura al Politecnico di Milano, ma non ho mai voluto fare l’architetto. Mi piace l’architettura, mi è piaciuto studiare le opere dei maestri, studiare la storia delle città, l’urbanistica. È solo nel 1991, a un passo dalla laurea, che inizio a dedicarmi anche alla fotografia di architettura, seppure da un punto di vista di ricerca piuttosto che professionale. Il mio approccio alla fotografia di architettura, infatti, non è stato né accademico (non ho frequentato alcuna scuola in merito) né canonico (non facevo fotografie mantenendo le linee parallele rappresentando gli edifici), bensì espressivo. Utilizzavo l’architettura come materia da plasmare a mio piacimento per creare immagini dinamiche, prospettiche, dai forti contrasti. Il costruttivismo russo e il Bauhaus mi avevano evidentemente colpito nel subconscio, e ora cercavo di far uscire quello che il mio carattere denota, una forte dinamicità ma allo stesso tempo la continua ricerca di un equilibrio. È questo l’inizio di una prima fase di ricerca che solo nei primi anni 2000 si è andata man mano esaurendo, e che ho chiamato “Sundials”.

A seconda dei lavori la luce assume un significato diverso. In “At the edge of emptiness” scolpisce l’architettura, mentre in “Quartieri di Milano” è …
Intanto bisogna distinguere tra fotografia in bianco e nero e fotografia a colori. La prima mi è più congeniale per far risaltare alcuni aspetti ben precisi di un’idea, come ad esempio il rapporto tra alcuni elementi formali, o le dinamiche gestaltiche della percezione visiva; la seconda, invece, la uso per far emergere un sentimento, oppure al suo opposto per rendere ancora più evidenti alcune contraddizioni dell’ambiente che sto rappresentando. In “At the edge of emptiness”, lavoro in bianco e nero, ho sottolineato con forti contrasti derivanti da una luce diretta e secca le forme delle architetture verticali, in forte contrapposizione con il tessuto urbano. Nel reportage sui quartieri di Milano invece, il colore e la luce del tardo pomeriggio, più calda, mi hanno permesso di descrivere i luoghi con una lettura allo stesso tempo “distante” dal soggetto, ma anche molto sentita a livello personale nei rapporti tra i colori dell’ambiente che andavo a percorrere. In questo si ritrova il mio personale modo di usare il colore, molto saturo e pieno, che deriva direttamente dal mio passato, in cui usavo le pellicole invertibili Ektachrome 64 per fotografare i paesaggi.

Come giornalista ho seguito Expo 2015 e mi ha colpito profondamente come l’hai fotografato. Un bianco e nero “positivo” per la costruzione e un colore “malinconico” per lo smantellamento. Ci racconti questa scelta?
Per la fase di montaggio di Expo 2015 ho utilizzato uno stile “costruttivista”, con inquadrature alla Rodchencko, e per esaltare la capacità umana di realizzare e di fare in tempi record quello che sembrava impossibile, il bianco e nero e la luce netta, i contrasti forti, sono stati fondamentali. Per la fase di smontaggio, che ho seguito per 23 giorni tra l’inverno 2015 e la primavera 2016, ho adottato una tecnica stilistica diversa. Ho lavorato a colori e ho voluto esprimere un senso di malinconia, il senso comune che tutti i visitatori provano al pensiero dei sei mesi di Expo: per questo ho scelto di fotografare sempre nella golden hour e nella blue hour, aspettando di avere giornate con cieli nitidissimi. La luce calda e morbida, che rendeva dorati i padiglioni in disfacimento, in contrasto al blu del cielo luminoso, hanno creato un’alchimia magica di nostalgia e disfacimento.

Se fotografare è scrivere con la luce, il progetto Sundial è un lunghissimo romanzo?
Sundials è la rappresentazione sotto forma di immagine del concetto di Yin e Yang, volutamente ricreato giocando con materia-luce-ombra, anche se nella interezza del soggetto che fotografo non esiste. Come dici tu, è il mio progetto più lungo, oserei dire senza fine, perché è la rappresentazione sotto forma di immagine di uno stato di equilibrio, volutamente ricreato anche quando nella realtà non esiste. Uso l’architettura perché mi permette di astrarmi dalla realtà e di ricreare delle figure spaziali nelle quali è facile perdersi, annullando i significati legati a luoghi e a situazioni ambientali. Faccio fluire le mie le emozioni incanalandole in giochi di luce e forme. È un lavoro molto intimo, non è una semplice rappresentazione di dettagli architettonici, potrei fare lo stesso con le rocce o altri elementi naturali, ma il mondo del progetto mi affascina. Per me è anche una sfida e un omaggio allo stesso tempo, poiché quasi sempre uso edifici progettati da maestri dell’architettura moderna o costruzioni contemporanee molto conosciute. In questo c’è il divertissement di ritrarre particolari di luoghi famosissimi e fotografatissimi, che in questo modo rendo quasi irriconoscibili, salvo poi ritrovarne l’identità leggendo la didascalia.

Con Instagram ci sentiamo tutti “fotografi” o artisti, me compreso. Cosa ne pensi?
Instagram è il luogo in cui tutti possono esprimere la propria passione per comunicare attraverso le immagini. È un enorme e infinito contenitore dove si trova di tutto, dalla fotografia d’autore al selfie dell’adolescente. Se si sa scegliere bene chi seguire ci si può fare una vera cultura fotografica. E in questo senso trovo che Instagram sia uno strumento di diffusione culturale potentissimo, perché slegato da meccanismi editoriali o di commercio dell’arte fotografica. Da questo punto di vista, poiché l’uso dei cellulari come fotocamere ha avvicinato tantissime persone al mondo della fotografia, tra di essi ci saranno molti che potranno apprezzare il lavoro degli autori, o che li prenderanno da esempio per seguirne le orme o semplicemente per avere una fonte di ispirazione per esprimere con la luce e la fotografia i propri sentimenti. E questo non fa che unire le persone da una passione comune, condividendo le proprie immagini ed apprezzandole reciprocamente, il che è solo una cosa positiva per la causa della fotografia!