– INTERVISTA COL DESIGNER –

Le mani prima di tutto

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Andrea Calatroni

Abbiamo incontrato Guglielmo Poletti designer milanese con diversi amori cui far fronte: l’architettura, la luce e la materia. Un progettista un po’ fuori dai consueti schemi italiani, Eindhoven gli ha insegnato a manipolare i materiali e dare forma solida alle idee.

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Partiamo dal tuo studio. Uno spazio autosufficiente, una cellula autonoma dove progettare avvolti dalla betulla e da poche luci sceltissime. Come nasce questo luogo?

Il mio studio nasce da un’esigenza specifica, consolidatasi nel corso degli anni passati in Olanda dopo aver conseguito il master alla Design Academy Eindhoven. Oggi come allora, per me rimane fondamentale creare le condizioni per sperimentare con i materiali, testando direttamente idee e prototipi. Appena rientrato a Milano, ho cercato un contesto industriale che mi permettesse di preservare questo metodo di lavoro. L’attuale studio è situato in un ex magazzino edile, la cui planimetria mi ha permesso di suddividere gli ambienti in due zone ben distinte. Da una parte una zona laboratorio destinata alla prototipazione, cuore pulsante dello studio nella fase di concepimento di un’idea. Questo è il luogo dove i pensieri prendono forma da un’intuizione pensata con le mani, per poi essere razionalizzati e affinati dalla testa solo in un secondo momento. Dall’altra parte si trova invece un open space adibito a spazio espositivo, zona riunioni e ufficio. Al suo interno è stata installata l’unità Modular Office Unit, lavoro che mi ha permesso di confrontarmi per la prima volta con la scala dell’architettura, ambito che ho sempre sentito molto affine. Si tratta di una struttura autoportante in legno di betulla, progettata sulla base di una griglia in stretta correlazione con il layout dello spazio architettonico. Grazie al susseguirsi di diversi livelli e profondità, l’unità integra un sistema di stoccaggio, una zona letto, la zona desk e la relativa parete contenitiva con libreria, delimitando lo spazio per incrementarne l’efficienza in termini di risparmio energetico. Le luci infine sono state scelte con cura in quanto ridotte all’indispensabile. Infatti non è quasi mai necessario utilizzare un’illuminazione artificiale durante il giorno, grazie all’apertura di tre grandi lucernari dal cui vetro satinato filtra una soffice luce naturale che si diffonde in tutto lo spazio.

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La tensione, generata da cavi o dalla curvature della materia, è un tuo tratto distintivo. Entrambe le lampade, per Flos e Schloss Hollenegg, ne sono la dimostrazione. Ce ne parli?  

Il tema del cavo è stato per me il fil rouge sviluppato durante la tesi del master in Olanda. Con la serie Equilibrium, progettata attorno a questo elemento, ho compreso come il centro del mio interesse progettuale fosse legato ad aspetti costruttivi. E nonostante si tratti di un progetto giovanile, incorpora molti dei criteri che ancora oggi fungono per me da linee guida. In senso lato il tema della tensione invece, più che una cifra stilistica, è frutto di un’indagine sulle proprietà dei materiali, che plasmati tramite singoli gesti strutturali sono in grado di portare a risultati inaspettati. Per me la ricerca delle qualità sia funzionali che formali è conseguenza di considerazioni strutturali, che permettono a loro volta di ridurre l’arbitrarietà nelle scelte progettuali. Tornando all’esempio di Equilibrium, prendiamo la console in acciaio Corten. Tra gli oggetti della collezione, è forse il più maturo perché costruttivamente è stato realizzato seguendo logiche molto precise, un po’ come la luce per Flos. Il top della console dall’esiguo spessore (solo 4 mm) ha una leggera precurvatura, che genera un tensionamento necessario a rendere il top stesso portante. Questo dettaglio, pur essendo di stampo prettamente strutturale, ha generato una forma più affascinante, alterando un disegno che un altrimenti sarebbe risultato eccessivamente “rigido”.

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Un altro elemento che ho trovato interessante è l’uso della materia qual è. To Tie lo conferma appieno. Ce lo spieghi? 

Limitare il numero di materiali e utilizzarli nel modo più “onesto” possibile mi aiuta nel conferire senso al progetto e raggiungere così gli obiettivi che mi interessa perseguire. Ciò è valso anche per To-Tie (Flos, 2022) dove i componenti sono stati ridotti al minimo e l’unico elemento della cui finitura si è entrati nel merito è la barra anodizzata. La ragione è semplice: in una lampada industriale l’alluminio va sempre finito, è impensabile lasciarlo grezzo e l’anodizzazione aiuta se il materiale deve dissipare calore. Inoltre, la purezza dei materiali sposta spesso l’attenzione, favorendo una comprensione più immediata dell’oggetto da un punto di vista costruttivo. Nel caso di To-Tie questa scelta aiuta a comprendere come ogni componente assolva a una duplice funzione, aggiungendo valore al progetto: la barra in alluminio incorpora il LED e diventa maniglia per muovere la lampada, il cilindro in vetro sostiene la fonte luminosa e riflette la luce, mentre il cavo che porta corrente elettrica diventa il giunto che tiene barra e cilindro assieme.

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Alcuni tuoi pezzi per Rossana Orlandi mi riportano a Richard Serra, l’arte contemporanea ha, in qualche modo, influito sul tuo lavoro

Sicuramente Richard Serra è un artista che ammiro, ma sul cui lavoro ragiono più in termini meramente costruttivi, meno sul versante di intellettualizzazione del processo. L’arte contemporanea ha sicuramente avuto un’influenza indiretta sul mio lavoro, ma in maniera non tanto consapevole quanto l’architettura. Questo è forse l’ambito che mi attrae maggiormente, in quanto permette di trasmettere l’essenza di un lavoro senza che questo debba essere supportato da una narrativa concettuale. Ma piuttosto che i lavori portati a termine, ho sempre trovato più rilevante l’attitudine degli architetti verso i quali nutra una stima particolare, che gli ha permesso di affrontare progetti ambiziosi senza ricorrere a compromessi, nonostante le grandi complessità che l’architettura comporta. Infine, ci sono figure a cavallo tra l’architettura e l’oggetto. Tra queste menziono spesso il designer belga Maarten Van Severen, che grazie ad una visione fortemente indipendente e autonoma, è stato in grado di muovendosi abilmente tra questi due mondi.

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Ci sono altri progetti di luce in corso? Vedremo qualche novità al prossimo Salone? 

Ci sono diversi lavori in corso, ma niente per il prossimo Salone, mi spiace. In questo momento mi interessa portare avanti in parallelo al mondo dell’industria anche quello dell’arredo architetturale custom, sviluppato in ambito privato. Ma è qualcosa di diverso dalla consueta concezione di interior design o interior decoration. Che si tratti della realizzazione di un intero edificio o della ristrutturazione di uno spazio esistente, spesso la figura dell’architetto è principalmente assorbita sulla progettazione della scatola architettonica. Parallelamente, esiste una fase di progettazione incentrata sull’arredo strutturale che mi interessa molto, in quanto deve sapersi integrare con la progettazione degli spazi, instaurando con essi un dialogo complementare. L’architettura, scevra da pressioni mediatiche importanti e caratterizzata da tempistiche produttive completamente sfalsate, permette di avere uno sguardo più distaccato e ritrovare il giusto focus quando si ritorna a lavorare sul prodotto. Inoltre, ritengo che per lavorare con l’industria si debbano seguire tempistiche corrette evitando di dover sottostare ad un carico di pressione che ti porta a dover sempre presentare qualcosa di nuovo ogni anno (come fa la moda, N.d.R.). Questo è specialmente valido nel campo dell’illuminazione, che ha delle fasi di sviluppo più dilatate di qualsiasi altro complemento d’arredo. In generale, è importante rispettare i propri tempi per dare maggiore qualità e non snaturare il propri ritmi. Ogni progetto richiede il giusto tempo di maturazione – preferisco limitare il mio output piuttosto che forzare la mano. E quando lavoro a una determinata tipologia di oggetto cerco sempre di idearne un mio archetipo personale, che possa aspirare a una longevità superiore per rimanere coerente con la mia visione e con i bisogni contemporanei.

(immagini courtesy: Guglielmo Poletti – Flos)