– INTERVISTE COL DESIGNER –

Progetto contrappunti all’emozione

Tempo di lettura: 4 minuti

Andrea Calatroni / Marco Nozza

Filippo Cannata affronta ogni progetto come fosse il primo, l’iniziale timore cede poi il passo alla passione e tutto trova una soluzione. Dalla collaborazione con i grandi architetti e artisti come Mimmo Paladino ha imparato a tessere storie di luce uniche.

01 Making Of Light Progetto Contrappunti All’emozione Reggia Di Caserta 2
02 Making Of Light Progetto Contrappunti All’emozione Reggia Di Caserta 01

Dal micro al macro, dal portacandele all’aeroporto. Importanti salti di scala unificati da una coerenza progettuale unica. Ce ne parli? 

Nell’affrontare questi due ambiti, o salti di scala, all’inizio mi pongo in una modalità che definirei irresponsabile, dovuta ad un grande timore che mi ha sempre accompagnato, fin dai primi momenti della carriera. E questo timore mi porta ad avere un primo approccio quasi traumatico, poiché inizio a pensare alla miriade di difficoltà che si dovranno affrontare, poi man mano che entro nel merito del progetto scatta la passione, l’esperienza, la conoscenza. Ciò fa sì che mi senta “preso”, anche se non so bene da cosa, ma mi sento rapito dalla storia e a questo punto sono più attratto dalla storia che dalle difficoltà. Parlare di una lampada o di un grattacielo mi affascina allo stesso tempo, poiché entrambi adoperano come strumento di comunicazione la luce. Alla micro o alla macro-scala vuol dire che cambiano le dimensioni delle responsabilità da affrontare, ma il metodo di approccio rimane sempre lo stesso. E mi piace questa dicotomia che si viene a creare all’inizio e cioè della gioia iniziale, perché sto esplorando un nuovo percorso cui segue il trauma dovuto alla ratio che mostra la moltitudine di difficoltà che circondano questo progetto, infine ritorna la gioia perché sento la passione che induce alla visione, al racconto, alla storia da cui spunta la soluzione, inedita cui non avrei mai pensato e comincia la fascinazione e il coinvolgimento. Tutto questo arriva pian piano, studiando e approfondendo il tema, cercando di farlo mio. E se riesco ad entrare in sintonia, in amicizia, con quello che sto facendo allora comincio ad amare il progetto, e questo è fondamentale per far nascere l’idea. Quando queste tensioni positive prendono l’avvio si apre un mondo, incoraggiandomi a proseguire anche dopo oltre 35 anni di carriera. Soggetto dell’incoraggiamento è la centralità dell’uomo nel progetto e la sua emozione. Ogni progetto diventa un viaggio interiore, introspettivo, una sfida che ho con me stesso. Questo accadde con il mio primo grande progetto, il parco della Reggia di Caserta, e si ripeté dieci anni fa quando mi chiamarono per entrare in un gruppo di progettazione dell’ESA per l’illuminazione di un modulo della stazione spaziale ed è continuato oggi nel progetto della Reggia di Capodimonte a Napoli. Progettare una lampada o un aeroporto è qualcosa che sulle prime mi fa rabbrividire poi subentra il senso di responsabilità, infine, la consapevolezza dei temi da affrontare, ma per mia fortuna c’è la grande passione, il grande amore e soprattutto la speranza che ciò che faccio possa rappresentare innanzitutto una felicità per me e poi per gli altri.

03 Making Of Light Progetto Contrappunti All’emozione Torre Unipol Milano
04 Making Of Light Progetto Contrappunti All’emozione Crm Marsiglia Stefano Boeri Filippo Cannata

Mario Cucinella, SOM e Stefano Boeri sono alcuni tra i tanti grandi studi con cui hai collaborato. Che ruolo ha avuto la tua luce in questi progetti? 

Nei progetti con i grandi studi ci ho messo molto cuore e ho dovuto interpretare anche il loro. Ma questo si legge più in quello che dicono o scrivono che in quello che fanno. Sull’architettura contemporanea sono un po’ critico, non tanto sui progettisti quanto sul linguaggio che oggi si sta un po’ troppo stereotipando e che non mi appassiona del tutto. Sarà perché vengo dalla scuola di Ettore Sottsass, Alessandro Mendini, Mimmo Paladino e sono affascinato da Luis Barragan, Tadao Ando, Kengo Kuma o Carlo Scarpa, personaggi che, secondo me, fanno dell’architettura una poesia armonica. Nei progetti di questi architetti tutto è ordine e misurato, quando invece c’è quel pizzico di sale in più, che rischia di rovinare il piatto, non si riesce a mettere in armonia l’insieme. Sono convinto che la maggior parte di chi si muove nel mondo dell’architettura odierna non ha la consapevolezza della creazione, della necessità di dover mettere in armonia tutti gli elementi che concorrono ad una sana architettura, tra questi la luce, l’acustica ecc. Oggi si è molto più presi dal risparmio, dall’aria pulita, dai consumi e molto meno dalla centralità dell’uomo. Si parla più di sostenibilità, di certificazioni che di persone e questo mi dispiace perché mi vedo sintonizzato su una frequenza diversa. Forse sono stato abituato male dalla frequentazione con Sottsass, Alessandro Mendini o Dino Gavina, quando si svolgevano le riunioni parlavano di riuscire a far sorridere le persone, a farle stare bene. In Italia, è ancora difficile essere riconosciuti professionalmente e spesso, forse quasi sempre, la parcella dell’architetto non contempla anche quella del lighting designer, contrariamente a quanto accade all’estero. Ricordo un lavoro che feci diverso tempo fa con Richard Meier e ho constatato che all’interno della sua parcella era già stato incluso, e conteggiato, il lavoro del lighting designer, scoprendo che senza questa voce il lavoro non sarebbe iniziato. Questo modo di lavorare l’ho ritrovato in tanti altri grandi studi e internazionali, fa parte della loro cultura progettuale. È un sistema molto pragmatico che ha due risvolti, uno positivo e uno negativo. Il primo, è che entri a far parte di una compagine di progetto e conosci le complessità che affiorano in questi lavori. Il secondo, il panico perché noi italiani non siamo molto abituati a questi criteri operativi, non siamo abituati al confronto multidisciplinare con tutti i professionisti che compongono questi lavori complessi, e quindi si è costretti ad un continuo adattamento, fortuna che oramai ci siamo abituati.

05 Making Of Light Progetto Contrappunti All’emozione Hortus Conclusus Benevento Mimmo Paladino
06 Making Of Light Progetto Contrappunti All’emozione Piazza Conti Guidi Vinci Filippo Cannata Mimmo Paladino 1

Hai illuminato molte opere d’arte tra cui i lavori di Mimmo Paladino a Vinci e a Benevento. Mi piace pensare che sia stato uno scambio reciproco tra grandi sensibilità. Cosa hai imparato e cosa hai insegnato? 

All’artista credo sia difficile insegnare qualcosa. Per quella che è la mia esperienza, nata ai primordi dal teatro, che è una forma d’arte in cui la luce non viene mai vista in lux o lumen, ma in termini emozionali e atmosferici (intesa come atmosfera legata al testo, n.d.r.) o si affrontano le diverse sfumature dei colori e dei chiaroscuri o delle ombre. In teatro si parla un linguaggio della luce completamente diverso da quello tecnico, si parla di poesia, di emozione, di tempi. L’illuminazione teatrale è una forma d’arte, la parola controluce evoca qualcosa, al contrario parlare di 35 lux non provoca nulla. Ma tecnicamente sono la stessa cosa. Questo mi ha aiutato molto quando, conosciuto Mimmo Paladino nel 1987, ho iniziato a collaborare con lui e a illuminare le sue opere. All’epoca ero ancora molto concentrato sull’approfondimento dell’illuminotecnica e bisognava stare molto attenti nell’illuminazione di uno spazio pubblico come l’Hortus Conclusus. Quando mi trovavo con Paladino ammiravo il fatto che avesse tutto già perfettamente a fuoco e nonostante tutto fosse in costante e continua evoluzione, nulla era statico come in un rendering di un architetto. Ogni pietra, il suo posizionamento, era importante all’interno della storia e del racconto artistico. Ricordo quando mi presentai in cantiere con i faretti e i dimmer pensando a come avrei illuminato le diverse opere, poi ascoltando Mimmo Paladino parlare e raccontare la sua idea, quasi con vergogna, spensi tutto e ascoltai cercando di entrare in sintonia con il suo sentire, l’artista mi chiedeva il contrappunto all’emozione e alla sua storia, non quanti lux ci volevano. E questo mi riportò sulla mia vera strada, quella che sento come più profondamente mia: riuscire a tradurre (il racconto) senza tradirne il significato e il senso con il linguaggio della luce.

07 Making Of Light Progetto Contrappunti All’emozione Montagna A Solopaca Mimmo Paladino
08 Making Of Light Progetto Contrappunti All’emozione Fiat Luci D'artsita Mimmo Paladino

Osservando i tuoi lavori ho pensato ad una frase di Paul Claudel: “la vita è una grande avventura verso la luce”. Una tua riflessione in merito? 

Questa frase è un po’ la sintesi del mio approccio al lavoro. Per me, luce non vuol dire soltanto illuminare. Questo mi riporta ad un’esperienza che feci molti anni fa relativa alla Tabula Rasa: nel mondo in cui stiamo vivendo, disturbato da un continuo rumore assordante di fondo, non si riesce più a godere delle piccole cose e questo è molto triste. E nel mio mondo (lavorativo) è diventato molto difficile spiegare il valore della penombra e dell’ombra, che non vuol dire buio, ma è il contraltare della luce. Nel mio lavoro non cerco mai l’inedito, provo sempre ad inserire qualcosa che susciti la meraviglia, inteso come il meravigliarsi, che dia un significato nuovo al progetto.

(immagini courtesy: Filippo Cannata Lighting – https://www.instagram.com/cannata_filippo/)