– INTERVISTE COL DESIGNER –

La luce è arte e scienza

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Marco Nozza

Paola Urbano (Urbano Lighting) ci racconta la sua filosofia di progetto e la docenza presso l’Università di Bilgi a Istanbul dove ha formato i giovani lighting designer turchi. Un’esperienza formativa e culturale di grande rilevanza.

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02 Making Of Light La Luce è Arte E Scienza Stato Di Fatto Primi Sopralluoghi

Lo studio Urbano Lighting opera da circa trent’anni e “The Lighting Project is an Art as well as a Science” è la vostra filosofia di progetto. Ce la racconta?

È un’arte in quanto il progetto della luce è una forma di creatività, è un’espressione estetica, è un linguaggio che se usato con sensibilità, riesce ad enfatizzare o “svelare” le peculiarità di un’architettura, di un monumento, di una piazza o di un ambiente in senso lato. La luce può creare emozioni. La luce dipinge l’ambiente notturno permettendone la “lettura” e, con un progetto ben studiato caratterizzato da gerarchie d’interesse visivo mirate, è possibile guidare l’osservatore nello spazio e stimolare la sua curiosità verso i punti strategici di un luogo. La luce può offrire anche dei risultati percettivi inediti, o rendere accogliente o affascinante un ambiente che di per sé in condizioni diurne risulta poco invitante. A tutto ciò però serve una premessa: ogni luogo – avendo una sua specificità – per illuminarlo bisogna conoscerlo. Ed è necessario farlo nelle sue valenze estetiche e/o storiche, rispettarlo e analizzarlo a fondo, per poi decidere cosa celare o cosa far vedere e, soprattutto, come farlo vedere. Il risultato progettuale dipende quindi molto dalla sensibilità, dalla creatività e dalle basi culturali del lighting designer, oltre che dalla sua esperienza e dalle competenze tecniche. 

Nello stesso tempo il progetto della luce è anche una scienza, in quanto richiede conoscenze scientifiche e tecniche utili al controllo dei differenti parametri che concorrono alla definizione e alla realizzazione degli effetti luminosi preposti. La luce con le sue caratteristiche sia a livello qualitativo che quantitativo, deve essere esaminata e calibrata in funzione della sua interazione con i colori, con i materiali, oltre che con le valenze estetiche e spaziali di un ambiente. È altrettanto importante conoscere come la luce interviene sui processi e sulle alterazioni fotochimiche e quindi sul deterioramento di alcuni materiali. Aspetti importanti quando s’interviene in un museo, all’interno di una chiesa o in ambienti storici caratterizzati da affreschi o altre opere fotosensibili. È altresì necessario sapere come la luce influisce, oltre che fisiologicamente e psicologicamente sull’uomo e sui suoi ritmi circadiani, anche sulla fauna e sulla vegetazione presenti nel luogo. Oggi più che mai, chi ha una responsabilità progettuale è necessario che operi con sensibilità e coscienza etica, tenendo presente tutte le condizioni di benessere ambientale che vanno salvaguardate.

A queste competenze tecnico-scientifiche se ne aggiungono altre, come ad esempio il costante aggiornamento sulle soluzioni tecnologiche e le opportune valutazioni sul loro impiego.  Ad esempio, oggi per quanto i sistemi mirino alla semplicità di utilizzo da parte dell’utente finale, sono comunque soluzioni complesse che richiedono competenze specialistiche e progettazioni sempre più accurate. Quest’ultimo aspetto purtroppo non sempre viene compreso: l’illuminazione con la sua libertà di gestione, a volte rischia di essere recepita solo in forma ludica, oppure come qualcosa che poi – in fase d’uso – può essere “aggiustata” anche senza adeguati presupposti progettuali. Questo è un atteggiamento fuorviante, sia a scapito del risultato delle qualità ambientali, sia per il rischio di investire inutilmente su sistemi che poi risultano sottoutilizzati o, al contrario, di adottare soluzioni con scarse prestazioni in confronto alle aspettative. Queste sono in sintesi le ragioni per le quali ritengo che, sia le competenze artistiche come quelle scientifiche, debbano fondersi nella progettazione ed è quello che ho sempre cercato di coniugare indipendentemente dal tipo di tecnologie – che a seconda del periodo – avevo a disposizione.

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Docente presso il Politecnico e allo IED di Torino. Ci racconta in particolare l’esperienza d’insegnamento all’Università Bilgi di Istanbul?

Ho incominciato il mio rapporto con la Bilgi University nel 2003, in quel periodo non c’erano a Istanbul corsi di lighting design e la cosa suscitò un certo interesse. C’erano ovviamente all’interno di varie università dei corsi di fisica tecnica, ma con un approccio alla progettazione meramente impiantistico. Il mio corso – rivolto a laureati e studenti – era un po’ una sintesi dei corsi che tenevo in Italia dove, oltre agli aspetti tecnici della materia, veniva dato molto spazio allo studio delle dinamiche percettive (sia fisiologiche che psicologiche) e alle possibili “letture” dello spazio attraverso progetto della luce. Venivano illustrate anche le metodologie progettuali che utilizzavo nel mio lavoro con vari esempi in differenti campi di applicazione. Soprattutto il primo anno, la cosa che mi incuriosiva era il dovermi interfacciare con il background culturale locale che era diverso da quello dei miei studenti in Italia. I riferimenti e gli esempi evocativi su sensazioni luminose artificiali che potevano essere fatte con citazioni cinematografiche o attraverso situazioni ambientali a noi note, lì dovevano essere declinate in altro modo, secondo l’esperienza percettiva e culturale locale.

Facevamo anche delle uscite didattiche, alcune anche a Şişhane un quartiere di Istanbul caratterizzato solo ed esclusivamente da negozi e da artigiani di apparecchi di illuminazione. Trovai curioso che in quella metropoli ci fosse per ogni genere merceologico un quartiere dedicato: una specie di mega supermercato a cielo aperto, dove ogni categoria aveva trovato un suo punto d’insediamento commerciale.  Una logica concorrenziale-spaziale opposta alle nostra e che riprendeva l’accentramento espositivo delle fiere di settore, dove si ha la possibilità di trovare e confrontare varie produzioni aziendali in un unico luogo. In generale, posso dire che questa esperienza decennale alla Bilgi è stata stimolante e arricchente, sia dal punto di vista umano che lavorativo. Alcuni studenti del corso hanno poi sviluppato anche delle attività interessanti tra luce e design, coinvolgendo gli artigiani locali di Şişhane con piccole produzioni e workshop aperti soprattutto ai giovani. In quel periodo, la frequentazione con Istanbul mi ha permesso di fare anche delle nuove esperienze lavorative con progetti in luoghi affascinanti, interfacciandomi con clienti, professionisti ed imprese locali molto efficienti e disponibili.

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Nel museo presente all’interno del Discovery Tour di CASA MARTINI è stata applicata una progettazione sia di lighting sia di prodotto. Quale esigenza vi ha portato a creare dei corpi illuminanti ad hoc? 

Il museo presente all’interno del Discovery Tour di CASA MARTINI è composto da 15 sale che ospitano una raccolta di circa 600 oggetti sulla storia dell’enologia a partire dal VII secolo avanti Cristo sino ai nostri giorni. Il percorso espositivo è stato ricavato nelle cantine della palazzina ottocentesca, sede dei primi stabilimenti della Martini, e l’esigenza d’intervenire anche con degli apparecchi ad hoc, è nata principalmente dai vincoli impiantistici e architettonici dei locali. Il nostro progetto è stato sviluppato per tredici sale espositive e si è dovuto adattare ai punti luce esistenti, in quanto non era previsto il rifacimento dell’impianto. Inoltre, ha dovuto considerare l’altezza ridotta dei locali interrati, caratterizzati da volte di due metri e ottanta (nel punti più alti) e con un piano d’imposta degli archi – che dividono gli spazi – di circa un metro e cinquanta. Questi vincoli hanno fatto sì che i punti d’installazione dei proiettori, utili alla valorizzazione e all’accento dei reperti storici, ricadessero obbligatoriamente nel campo visivo dei visitatori. Di conseguenza, per offrire la massima resa degli effetti luminosi con un adeguato comfort, senza il rischio di abbagliamenti sono stati studiati dei piccoli spot dimmerabili su basetta (singoli, doppi e tripli) corredati da un particolare cannocchiale ottico e da una griglia a nido d’ape antiabbagliamento.

Nei casi di installazioni a pavimento, come ad esempio le retroilluminazioni di alcuni totem informativi in vetro, sono stati studiati apparecchi removibili a innesto rapido, con un grado di protezione idoneo alle possibili infiltrazioni d’acqua in quanto, nonostante le barriere protettive installate in prossimità degli ingressi, in casi accidentali di forti piogge alcuni dei locali interrati rischiano di essere raggiunti dall’acqua. In fase esecutiva, abbiamo scelto di ingegnerizzare ed affinare i prodotti con la Zero55. Trattandosi di apparecchi progettati su misura, i materiali utilizzati, la verniciatura, la componentistica elettrica, così come il grado di protezione alle polveri e all’acqua, sono stati definiti in funzione della tipologia di apparecchio e della relativa collocazione all’interno dei locali. La flessibilità produttiva dell’azienda ha permesso di fornire al cliente anche tutta una serie di staffe speciali e piccoli accorgimenti pensati per l’installazione, sempre nel colore RAL scelto per gli apparecchi. 

(immagini courtesy: Urbano Lighting)