– INTERVISTE COL DESIGNER –

Giocare con lo spazio urbano

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Interno giorno, piano superiore della Stazione FS di Monza, un luogo a metà strada tra uno studio e un retropalco. Ci accoglie Marcello Arosio ideatore e direttore artistico di AreaOdeon, struttura multidisciplinare nata nel 2005 che fa della sperimentazione la sua anima.

Dalle installazioni artistiche, da cui il vostro nome, a quelle illuminotecniche, come è avvenuto il passaggio? 

Innanzitutto non le definirei installazioni illuminotecniche, anche se c’è molta tecnologia. Quello che a noi interessa è la valenza artistica dell’uso della luce e il coinvolgimento del pubblico che non chiamerei utente o spettatore, ma in alcuni casi addirittura protagonista. Se osservi l’evoluzione di AreaOdeon, abbiamo avuto questo atteggiamento sin dal primo progetto a Lissone nel 2005, un progetto che si relazionava con la cultura storica della città, nello specifico legata al prodotto (al mobile) e all’industria. Abbiamo coinvolto le scuole, intese come luoghi laddove si forma la cultura, in questo caso in relazione all’arte ed allo spazio urbano. Dal mio punto di vista, e non solo da architetto, lo spazio pubblico è fondamentale per la vita di ognuno di noi. Lo testimonia il periodo pandemico, vivere confinato a lungo tra le mura domestiche è aberrante. Senza i luoghi sociali, pubblici, dove potersi incontrare, la vita sarebbe estremamente povera. Ritengo che una qualità elevata dello spazio urbano elevi la qualità della vita di ognuno di noi, e che la qualità dello spazio urbano sia il risultato dell’atteggiamento del singolo verso lo stesso. Quindi la consapevolezza che il nostro “vivere” lo spazio pubblico ne determini anche la qualità, diventa, insieme a un processo di rinnovamento del senso di appartenenza, un aspetto culturale importantissimo da promuovere a livello sociale. Lavorare nelle scuole è un po’ questo, stimolare i bambini nello sviluppare un progetto per la loro città che si traduca in un’opera di arte pubblica collettiva. Il progetto di Lissone del 2005 segna molto la linea operativa di AreaOdeon: già in questo caso impiegando le “nuove” tecnologie disponibili nei laboratori informatici scolastici dell’epoca, abbiamo trasformato il progetto in un laboratorio culturale, artistico e ludico. I bambini hanno fatto un percorso multiplo di approccio all’arte pubblica, di progettazione e di comprensione degli strumenti informatici. È stato molto emozionante vederli così stimolati e curiosi di scoprire come avremmo “attaccato” i mobili al muro. Questo progetto ha trasformato la città da un luogo pieno di possibili pericoli a uno che offre delle opportunità e offre loro la possibilità di essere protagonisti nel mondo dei “grandi”. A questo si aggiunge l’idea che lavorassero in collaborazione. Grazie al videogioco online sviluppato appositamente, gli abbiamo offerto l’occasione di capire cosa fosse Internet e di intervenire nel progetto stabilendo i colori degli oggetti e la loro distribuzione sulla parete, generando quindi un’opera che gli appartenesse. Ogni singola idea faceva parte del progetto comune e solo unendo tutte le loro idee si sarebbe realizzata l’opera d’arte urbana che avevamo progettato. Scegliendo le idee di tutti è passato il messaggio che tutti sono indispensabili. Poi siamo passati al livello successivo coinvolgendo gli industriali e gli artigiani per la scelta dei mobili da appendere e l’IPSIA per la realizzazione delle strutture di ancoraggio. Infine la messa in opera è diventata una festa e un evento che ha coinvolto oltre 600 persone. Tutto il percorso successivo di AreaOdeon è partito da qui. 

Unendo la nostra passione per la tecnologia e l’architettura, unitamente ai progetti di arte visiva già realizzati a New York e a Barcellona, le idee e la creatività le abbiamo convogliate anche nei progetti di interattività, luce e video mapping. Uno strumento audiovisivo, quest’ultimo, per creare architettura liquida, che permette di modificare la percezione di un oggetto fisico, finito e solido, animandolo e trasformandolo con luce e suono. Spazio e luce sono gli ambiti entro cui lavoriamo, la percezione visiva e sonora è l’ambito entro cui giochiamo, usando l’illusione ottica e psichica. Molti nostri progetti trasportano il pubblico in luoghi altri, in un mondo parallelo e surreale, ma che in realtà esiste ed è condiviso con le altre persone e che, a volte, si fatica a spiegare per mancanza di riferimenti comuni riconoscibili. Questo è il nostro modo di lavorare, sperimentando continuamente. Cerchiamo di sorprendere e sorprenderci ogni volta. Il nostro non è mai il lavoro di un singolo, è corale, è fatto di ricerca, di emozioni e di relazioni col pubblico. Cerchiamo di lavorare a livello culturale sulla società e su noi stessi.

I vostri progetti sono a metà strada tra tecnologia e fiaba, penso a Mura Parlanti o Ecce Fabula. Ce li racconti? 

Mura Parlanti o Ecce Fabula, come molti nostri progetti, nascono da sollecitazioni o collaborazioni esterne. Capita che l’organizzatore di un festival ci chieda un’idea o ci stimoli con delle riflessioni su quello che gli piacerebbe vivere o che la gente provasse assistendo all’evento. Questo è il punto di partenza per le nostre collaborazioni come per esempio, il progetto le Mura Parlanti nel quale alcuni attori leggono poesie di giovani scrittori in relazione ad alcuni luoghi di Brescia. Non so quanto consapevolmente abbiamo percorso il sentiero della fiaba, sicuramente ci piace portare gli spettatori in luoghi e stati sensoriali inusuali, dove forse sì c’è la fiaba di un mondo che non esiste, nonostante lo si stia vivendo fisicamente. Penso per esempio a Laser Symphony, che è un incrocio tra tecnologia ed emozione. Ci piace portare le persone in mondi che stimolano una percezione di sé e dei luoghi completamente diversa, dove non intendiamo mai la tecnologia come qualcosa di contrapposto alla poesia, ma come uno strumento malleabile a nostra disposizione per creare della magia.

Luxonus è un progetto ambizioso ed emozionante. Provocatoria, e inusuale, l’idea di far interagire il pubblico, com’è nata? 

Luxonus è un progetto che avrebbe potuto riprendere lo schema consolidato del mapping, con la stessa tecnologia e con la nostra regia, con una narrazione, delle sequenze o delle animazioni, un progetto di luce dinamica e suono totalmente nostro. Ma questo ci avrebbe impedito di coinvolgere altri artisti. Abbiamo quindi preferito sviluppare un sistema che permettesse agli artisti di costruire, anche da remoto, via internet, sequenze visive, di colori e intensità di luce, in funzione delle note musicali impiegate. Abbiamo coinvolto anche il pubblico con semplici strumenti interattivi come una tastiera elettronica che gli permettesse di creare musica e di provocare un contrappunto visivo. Si è creato così un gioco di rimandi tra suoni, luce e colori, in cui sembrano non esistere gerarchie definite tra visivo e sonoro, generando micro-cortocircuiti tra la produzione di un suono e la sua risposta visiva. Il luogo, il Parco Ecolandia a Reggio Calabria, dove abbiamo installato Luxonus si prestava bene a questo genere di sperimentazioni per quanto sia risultato difficilissimo da progettare, installare e poi documentare.

Light Art, Video mapping e Laser Simphony ovvero tre diverse declinazioni del saper giocare con la luce. Ce ne parli? 

Non ci piace molto compartimentare gli strumenti. Lavorando ad un video mapping per un’architettura specifica può nascere un’idea che potrebbe essere utile per un altro lavoro che stiamo sviluppando in parallelo o per un progetto futuro. Per cui può succedere che si cambi tecnologia per ottenere l’effetto che abbiamo in mente, penso al laser che è una scansione dello spazio ad altissima velocità, il cui raggio è visibile nello spazio grazie all’umidità dell’aria o da una hazer machine. Ci piace l’idea di impiegarlo per la sua capacità di diventare strumento interattivo per generare suoni e trasformare lo spazio a livello visivo. Come vedi usiamo molte tecnologie singolarmente o combinate, tutto dipende dal progetto. Non abbiamo una cifra stilistica, non trovo interessante averla, mi piace di più l’idea di sviluppare una “cifra progettuale” che ci permetta di affrontare un lavoro da scratch (n.d.r. da zero) ma con un approccio coerente al nostro percorso: sapendo quali sono gli strumenti a disposizione e l’esperienza maturata cosa mi piacerebbe che la gente vivesse? Ora stiamo lavorando su Laser Symphony combinata con l’intelligenza artificiale per cercare di capire se è possibile che si costruisca una memoria dei luoghi in cui è stata presentata. La cosa interessante di Laser Symphony è che sembra sia la stessa ovunque, ma al contrario è sempre diversa, cambia a seconda dell’architettura a cui la adattiamo, del pubblico e del momento. Abbiamo registrato molti dati di utilizzo da parte del pubblico, questo ci ha permesso di avere un enorme database di interazione. Quello che stiamo cercando di fare è di dotare l’installazione di una memoria delle precedenti versioni, un po’ come un individuo che porta le sue esperienze ovunque vada. Un altro esempio del nostro modo di lavorare facendo nascere d’emblée collaborazioni inattese è la messa in luce della Quinta Sinfonia di Beethoven diretta dal Maestro Andrea Albertin. Un progetto nato da un incontro fortuito con questo fantastico professionista, il cui fascino verso il video mapping ci ha convinto a ideare una performance visiva architetturale che si combinasse a quella musicale dei 42 elementi dell’orchestra. Un progetto realizzato per il Kernel Festival del 2014 (https://vimeo.com/109569222 ) in cui il direttore d’orchestra dirigeva i musicisti e noi, simultaneamente, interpretavamo la partitura e la sua direzione con contenuti di video mapping. Tecnicamente ci siamo organizzati per avere in tempo reale il feed audio degli orchestrali e attraverso i nostri strumenti trasponevamo i suoni in immagini. È stato un esperimento entusiasmante, di grande successo e soddisfazione. Tanto che l’anno successivo, al Kernel Festival 2015 (https://vimeo.com/148378595 ), abbiamo riproposto l’esperienza ma in chiave jazz con tutto ciò che ne consegue in termini di improvvisazioni e assoli.

Domanda spoiler, quali sono i prossimi progetti di AreaOdeon? 

Al momento siamo concentrati sulla decima edizione del Kernel Festival a Monza, abbiamo sfruttato il lockdown per rivedere l’impianto generale, espandendolo e integrandolo nel tempo e nello spazio della città. E non parlo solo di luci. Sound Safari per esempio è lo spazio di sperimentazione che abbiamo sviluppato maggiormente. È un’operazione mai realizzata prima, soprattutto per i grandi dubbi sulla funzionalità tecnologica: veicolare la musica attraverso i personal devices del pubblico creando un sync verso ogni telefono o sistema operativo, tra i suoni diffusi attraverso gli auricolari e le immagini proiettate. Ci piaceva l’idea che il sonoro diventasse protagonista rispetto al visivo su cui siamo sempre concentrati, in fondo credo che si abbia poca cultura del suono. Anche questo è un elemento importante legato alla qualità di vita, un rumore molesto disturba e la peggiora, un suono di qualità la esalta. Da qui l’idea di usare il suono per trasformare lo spazio che si sta vivendo. È un gioco di rivalutazione degli spazi. Lo attiveremo per sei mesi (n.d.r. da giugno a novembre) poi decideremo se lasciarlo operativo. Uno degli “spazi sonori” progettati dagli artisti coinvolti, fa riferimento per esempio ad una località agli antipodi di Monza, Chatham Island in Nuova Zelanda, creando un “portale sonoro” tra le due località. A Monza si sentono i suoni di Chatham e viceversa, questo è tra le interpretazioni della piattaforma che ci piace stimolare negli artisti. Adesso stiamo lavorando per integrare nella piattaforma oltre alla geolocalizzazione e al magnetometro (n. d. r. bussola:), anche l’interpretazione del giroscopio e l’accelerometro, e vedere tutto questo dove ci porterà.

(video courtesy: AreaOdeon)