– INCONTRI COL DESIGNER –

EcoDesign ripartire da Hannover

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Marco Nozza

ExSa – acronimo di Ex Carcere di Sant’Agata – sito nel cuore medievale della Città Alta di Bergamo, è stato teatro della conferenza su un tema particolarmente rilevante e sensibile: l’EcoDesign. Studio Switch ci ha invitati ad una profonda riflessione con l’intento di ispirare alla progettazione consapevole, ripartendo dai principi stilati nel 1992, enunciati all’interno della ‘Carta di Hannover’. Main sponsor: Cariboni Group. Silver sponsor: Reggiani Spa Illuminazione.

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Making of Light valica quelle che storicamente erano le mura seicentesche del monastero dei Padri Teatini, basamenti che affondando sino al XIV secolo sopra resti di costruzioni pagane. Allievo di Giuseppe Piermarini, Leopold Pollack converte il monastero a carcere: l’imbocco dell’edifico – con pianta a ‘C’ – è un alternarsi di contrapposizioni tra cancellate pesanti, resti di affreschi, modanature e, sulle superfici verticali dei muri, evidenti incisioni impresse dai detenuti.

Dall’ala carceraria rivolta a nord (si presume quella maschile) Paolo De Bellis – lighting designer e cofondatore di Studio Switch (www.makingoflight.it/making-of-design/il-lighting-designer-indipendente/) con Marta Mannino e Stefano Bragonzi – introduce e modera gli interventi multidisciplinari dei relatori, uno scambio di riflessioni che echeggiano in un virtuoso contesto di recupero architettonico. Quale migliore spazio di ri-uso, quale l’ExSa, per ripercorrere e ripartire dai Principi di Hannover?

Breve excursus sui Principi: con visione pioneristica, alla fine degli anni ’80, il chimico Michael Braungart fonda ad Amburgo l’EPEA (letteralmente tradotto ‘Agenzia di incoraggiamento per la protezione dell’ambiente) la cui filosofia è quella di adoperarsi alla cooperazione tra industria e Stato. Ne nasce anche un metodo: la IPS (Intelligent Products System) che si afferma e fonda le proprie tesi nella tutela ambientale sostenibile, trovando subito applicazioni, ad esempio, nella gestione dei rifiuti (inceneritori, discariche, rinnovamento del suolo, depurazione delle acque di scarico, per citarne solo alcuni). Nel 1992, M. Braungart con l’architetto William McDonough, stilano i ‘Principi di Hannover’, nonché un corpo di proclami sulla progettazione di oggetti e edifici con riferimento al loro impatto ambientale, al loro effetto sulla crescita sostenibile aventi diretti riflessi sulla società, al benessere umano e agli organismi in natura. Gli stessi capisaldi verranno applicati per la progettazione della Expo 2000 di Hannover, in Germania.

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Francesco Roncoli (fotografo freelance e optometrista) apre il seminario mostrandoci il suo reportage in Ghana dove, alla periferia di Accra, sorge la più grande ‘raccolta’ di rifiuti al mondo: la discarica di Agbogbloshie. Per portarci con l’immaginazione sul fiume di rifiuti che sfocia nell’ormai intaccato, inquinato e privo di vita Korle Lagoon, ci confida: “il cimitero di E-Waste, affacciato sulle acque ghanesi, si sviluppa attorno ad una favela: quotidiani sono gli incendi appiccati per incenerire le tonnellate di prodotti elettronici, la diossina sprigionata è elevatissima!”. 

La discarica rappresenta il polo di invio preferito dell’Europa – per non parlare della Cina – di dispositivi elettronici altamente innovativi (laptop, smartwatch, tablet, smartphone, ad esempio) ma non più funzionanti, sono cestinati ormai soppiantati in pochi mesi da nuovi modelli e versioni più performanti.

Prosegue entrando in dettaglio: “Grazie ad un contatto sicuro – in gergo ‘fixer’ – è stato possibile accedere all’area, inevitabilmente elargendo favori economici. Per circumnavigarla nella sua interezza ci si mette un giorno a piedi. Molte persone, anche per pochi ghana sidis – circa 9 cedi ghanesi rappresentano un euro – si ammalano di tumori e contraggono gravi scogliosi in quanto sempre a contatto e chini alla raccolta frenetica di oggetti. Roncoli cede la parola con un quesito provocatorio, specchio di un mondo governato, in gran parte, dall’assenza di etica morale: conviene di più, quindi, smaltire (i nostri cari RAEE) o caricarli su enormi navi dirette per l’Africa? Si può ancora riciclare?”

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Edoardo Milesi (fondatore dello Studio Archos) sostiene e valorizza il tema dell’EcoDesign esponendo il progetto ideato e realizzato nel 2013 ‘Una scuola per Haiti’, nella città di Port-au-Prince. “Concepita secondo criteri antisismici e antivento (può resistere a raffiche di vento fino a 140km/h), la scuola tecnica edile auto costruita dagli abitanti” – spiega Milesi – “si conforma prettamente con materie lignee di abete e inevitabili blocchi di cemento armato per le canoniche fondamenta. Secondo alcune ricerche l’abete piantumato nel terreno e con il clima haitiano cresce molto più rapidamente rispetto che in Europa (6 anni contro i 15!): evento naturale a sostegno di una filosofia sostenibile per rimboscare aree non più vegetative, danneggiate da calamità naturali (e in gran parte anche umane). In controtendenza a ciò – dopo l’avvento del terremoto nel 2010 – le organizzazioni intergovernative NATO e ONU hanno donato circa 1800 abitazioni totalmente in cemento armato (tendenti a bunker e molto dispendiose) creando un non-luogo, totalmente asettico”. E prosegue “Il capoluogo di Haiti, invece, necessitava di edifici di qualità, di un vero villaggio – ma a basso costo [] Adottando la tecnica di costruzione a secco, pratica sostenibile e a ridotto contenuto tecnologico, all’occorrenza si possono estrarre e sostituire parti decomposte o danneggiate, procedimento che per il calcestruzzo non è possibile attuare così facilmente” evidenzia l’architetto. 

Al termine delle varie esposizioni Paolo De Bellis – speranzosamente – domanda all’architetto:  “Secondo lei, il progetto realizzato ad Haiti può essere un modello replicabile e/o applicabile anche in altri contesti geografici?”

ED: “Assolutamente sì, è possibile con la cooperazione di chi progetta e di chi abiterà il progetto! Infatti tra i principi di progettazione e costruzione degli edifici di Haiti, in particolare è stata la partecipazione, come coinvolgimento attivo degli abitanti per proporre un progetto in linea con la cultura e la tradizione del luogo”.

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Direttore scientifico di AgriLab di Bocconi SDA School of Managment, il professore Vitaliano Fiorillo espone un focus mirato sul tema Supply Chain Managment, nello specifico sui benefici – anche economici – di una progettazione sostenibile e sulle modalità di intervento su tutta la filiera fino all’utente finale. La definisce una disciplina olistica – rivolta allo “sviluppo del ciclo della vita”, nella quale è necessario capire la provenienza del prodotto, da dove e come inizia, quali sono i processi che lo costituiscono e conseguentemente sostiene “ciò è d’ausilio all’utente/consumatore per consapevolizzarlo e responsabilizzarlo nella scelta all’acquisto”. Da un paio d’anni a questa parte, aggiunge Fiorillo “a causa delle passate recenti crisi economiche, le aziende hanno limitato drasticamente gli investimenti in termini di acquisto di prodotti e impiego forza lavoro e da qui la nascita della ‘servitizzazione’. Che cos’è? Esemplificando, si tratta sostanzialmente della trasformazione dei beni creati e immessi nel mercato da un’azienda ‘x’ riconvertendoli in una vendita di servizi, con una qualità elevata e impatto ambientale notevolmente minimizzato e donando maggior valore al cliente finale”.

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Prima dei titoli di coda del seminario c’è l’intervento conclusivo della product designer Miriam Emiliano.

La Emiliano ci spiega come la realtà di un’azienda, in questo caso produttrice di apparecchi illuminanti, quale la Cariboni Group, concepisca i propri prodotti con una sensibilità nei confronti dell’ambiente, nella sostenibilità e nell’etica di ridurre sprechi e consumi, allineandosi a quanto enuncia l’ISO 14001. “Da diversi anni si persegue la filosofia di produzione “just in time”, senza creare inutili giacenze e nel caso di rimanenze disassemblate e riemesse nel processo di lavorazione”.

Altro concetto” continua “è la riduzione dei rifiuti. Dobbiamo a mio avviso abbandonare il cosiddetto “mono-uso” e cercare di usare (nella speranza che qualcuno lo progetti) un oggetto durevole nel tempo, eliminandone anche lo stesso imballo. In Cariboni Group, seppur con minimo impatto, è stata rimossa la plastica sostituendo nel “packaging inside” del cartone tritato. Anche le dimensioni dello stesso imballo sono state ri-progettate: minimizzandone gli ingombri è stato ottimizzato il numero di trasporti su ruota, vantaggi in termini energetici e ambientali”.

La Emiliano, in seguito, approfondisce le migliorie tecnologiche e di performance insite nei corpi illuminanti e dei riferimenti normativi in chiave EcoDesign: dalla sensoristica inglobata, sensibile al passaggio di presenza persone, alla rivalutazione dell’intero ciclo di vita del bene (Life Cycle Assessment – LCA) in riferimento alla ISO 14040 e annessa Dichiarazione Ambientale di Prodotto (EPD), con una costante e mirata attenzione alla tutela della biodiversità (flora e fauna). Affermando, in conclusione, se ne potrebbe parlare per ore, che è necessario riprogettare affinché si rimandi il più possibile l’obsolescenza della vita del prodotto, in senso lato, in termini di riciclabilità e manutenibilità.

Al termine della serata Paolo De Bellis ringraziando i partecipanti (per architetti, previsto anche il rilascio di 2 CFP dall’Ordine degli Architetti di Bergamo) e gli sponsor, sinteticamente chiude con una speranza “Il messaggio che questo convegno desidera infondere è che, ripartendo dopo oltre vent’anni dai Principi di Hannover, auspicabilmente il designer possa progettare in modo sempre più consapevole, con l’intenzione di offrire soluzioni alternative e sostenibili sia da un punto di vista ambientale che economico, ma prima di tutto che lo siano per l’integrità dello “human well-being.


(Immagini courtesy: Marco Nozza per © ExSa; Edorado Milesi © Archivio Archos)